Albeggiava quando Filip giunse alla stazione di Kaptol. Erano ventitré anni che mancava da quell’angolo di mondo, eppure ricordava ogni cosa: i tetti fradici e marci, il campanile a bulbo del convento, la casa a un piano in fondo al viale buio, grigia e scolorita dal vento, la Medusa di gesso sopra il pesante portone di quercia ferrato, e la maniglia fredda.
(Traduzione: a cura di Silvio Ferrari)
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